La famiglia Boschi Luigi e figli

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Giuliano Gardoni emerotecologo e presidente dell’Associazione culturale “Monte Leoni”.

Cenni storici

Dall’Archivio storico del Comune di Felino, risulta che la Ditta Boschi Luigi e Figli inizi l’attività di “produzione estratto di pomodoro e di fabbricazione di salumi” nel 1904 con il marchio “aeroplano”. In realtà, altre testimonianze orali e scritte fanno risalire alla metà dell’Ottocento l’idea di Luigi Boschi, allora mugnaio, di convertire l’attività molitoria nell’allevamento e macellazione di suini e di iniziare la coltivazione e lavorazione del pomodoro.
L’anno 1904, invece, coincide con l’inizio dell’attività di lavorazione del pomodoro e produzione di salsa in scatola nel nuovo stabilimento costruito di fianco alla Chiesa, sul lato nord dell’attuale Piazza Miodini, dove sorge il centro direzionale e l’arredo urbano chiamato impropriamente “monumento”.
È, storicamente, il periodo in cui si contrappongono l’agronomo Carlo Rognoni (1829-1904), Presidente del Comizio Agrario di Parma, e Antonio Bizzozero (1857-1934), Direttore della Cattedra ambulante di agricoltura. Il primo sosteneva l’opportunità della coltivazione del pomodoro in rotazione con quella del grano; il secondo, l’introduzione invece di un’altra coltura da rinnovo: la barbabietola da zucchero[1].
L’inizio del secolo ventesimo, poi, rappresentava anche la fine della cosiddetta fase pionieristica della trasformazione del pomodoro (la conserva, fino ad allora, veniva preparata cuocendo il succo in caldaie a cielo aperto e a fuoco diretto) e l’inizio di quella “industriale” (attraverso l’uso delle “boules” o bolle con i concentratori sottovuoto inventati dai francesi). Ecco spiegato il “silenzio” del periodo che va dalla metà dell’Ottocento all’inizio del Novecento: l’anagrafe comunale registra solo nel 1904 l’esistenza della Boschi Luigi e Figli con l’inaugurazione del nuovo stabilimento dotato di moderne tecnologie che consentivano, fra l’altro, di passare dalla produzione in pani o di inserimento del prodotto finito in bottiglie di vetro, all’inscatolamento appunto in contenitori di latta con all’esterno, litografati, il marchio (oggi “logo”), il nome del produttore e le indicazioni necessarie all’individuazione del contenuto e delle sue caratteristiche.
“Fu proprio l’iniziativa di 4 o 5 famiglie di Parma ad ambientare questa coltura sul nostro territorio”, ricorda oggi il dott. Paolo Boschi, figlio di Giuseppe e nipote di Luigi. “Già allora la coltivazione e la lavorazione del pomodoro avevano il loro centro tradizionale nel Salernitano, soprattutto per quel che riguarda i pelati. Da noi invece sorse il centro principale del pomodoro concentrato grazie all’intuizione degli imprenditori parmensi”.
Ed in effetti, mettendo a confronto tutte le fonti ufficiali oggi disponibili (oltre al citato Archivio comunale di Felino, le Biblioteche della Camera di Commercio e della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari di Parma, la Biblioteca Civica di Parma ed altre di privati e studiosi) si riscontra che a Felino almeno 49 imprese[2] (nel settore della produzione di salsa di pomodoro) nacquero, si modificarono, cessarono nel periodo che va dal 1883 al 1962.
E tra queste, il nome Boschi lo si ritrova ancora oggi, fiero ed altrettanto rinomato, in tre aziende, di cui due per la produzione di salumi all’interno del territorio felinese (Boschi cav. Umberto e Fratelli Boschi) ed una terza (appunto la Boschi Luigi e Figli) per la tradizionale produzione di concentrato di pomodoro (e derivati) con stabilimenti a Parma (ora solo sede sociale), Fontanellato e Felegara.

La storia della famiglia Boschi dal 1850 ad oggi

Ma Boschi, perlomeno a Felino, non era e non è soltanto sinonimo di concentrato di pomodoro. Per i felinesi, ed in particolare per coloro che hanno a cuore le origini, la storia, la cultura del loro paese, la famiglia Boschi ha rappresentato e rappresenta qualcosa di più: il lavoro, che ha garantito e garantisce ancora la sopravvivenza ad almeno parte di quattro generazioni.
Perché la coltivazione della terra, l’allevamento degli animali, la trasformazione dei prodotti dell’agricoltura (e quindi anche della zootecnia) sono state fonti di lavoro ininterrotto da 150 anni. Hanno favorito altresì la crescita economica, sociale e culturale della popolazione attraverso il coinvolgimento dei lavoratori nei campi, negli allevamenti, nelle fabbriche di concentrato di pomodoro, nei caseifici, nei salumifici, nelle attività artigianali prima ed industriali, poi dell’indotto (edilizia, metalmeccanica, legno, commercio).
La ricchezza accumulata dal capitale e dal lavoro si è distribuita nel tempo e tra i lavoratori, consentendo anche a questi ultimi di costituirsi a loro volta arricchimenti immobiliari, mobiliari e culturali.
Il capostipite della famiglia di industriali, Luigi appunto, sposa in prime nozze Carolina Delgrano e dalla loro unione nasceranno sei figli: Umberto, Adelia, Dante, Aldo, Nella e Giuseppe.
Il primo ad iniziare un’attività parallela è Umberto che, dal 1917 al 1929 gestisce la fabbrica di concentrato di pomodoro in località Pradora; nel frattempo, e siamo giunti al 1923, con il logo “Boschi Cav. Umberto” dà vita ad un’altra fabbrica a San Michele Tiorre (che cesserà attorno al 1950) e ad un nuovo stabilimento di produzione di salumi (in Via Verdi) che lo farà conoscere nel mondo specialmente per il salame di Felino (contraddistinto dal logo raffigurante lo stemma comunale), ancora oggi più noto come “il salame del Cavaliere”.
Il cav. Umberto Boschi avrà otto figli: Luigi, Noemi, Bianca, Renzo, Ettore, Alba, Liliana e Gianni. Tra questi, solo Renzo (purtroppo deceduto alla soglia degli 80 anni il 7 luglio 2001)[3], Ettore e Gianni proseguono l’attività paterna fino a circa due decenni fa. Poi Renzo, con l’ingresso dell’unico figlio Umberto (e adesso con i nipoti Silvia, Lorenzo ed Elea), garantirà e garantisce ancora oggi la continuità di questo importante ramo della famiglia Boschi nel moderno stabilimento in Via Calestano.
Gli altri fratelli, in particolare Dante, Aldo e Giuseppe, rimangono nella ditta “Boschi Luigi e Figli”[4] che, con l’altrettanto arcinoto marchio che raffigura un aeroplano (per la verità un biplano all’inizio e successivamente stilizzato con adeguamento alle mutate forme del velivolo), prosegue nelle produzioni di conserve di pomodoro e di salumi fino al 1958 quando, ormai deceduti Aldo e Dante, Giuseppe (con i figli Paolo, Elsa e Luisa) e gli eredi di Dante (Carolina, Carlo, Anna Maria e Luigi) decidono la separazione: Giuseppe e figli proseguono l’attività di produzione di concentrato di pomodoro e derivati negli stabilimenti di Parma e Felino (e successivamente anche di Fontanellato, Berra di Ferrara e Felegara), mantenendo l’originaria denominazione “Boschi Luigi e Figli”, nonché il marchio “aeroplano”; gli eredi di Dante acquisiscono a loro volta la denominazione “Fratelli Boschi” e l’uso dello stesso logo di un tempo, ossia l’aeroplano, nei due stabilimenti di salumi in Felino (Via Garibaldi e Viale Roma) e nella fabbrica di salsa di pomodoro e derivati in Corcagnano (oggi di proprietà della Star). Nel 1967, a seguito di procedura concorsuale, la “Fratelli Boschi” cambia completamente proprietà, pur mantenendo ragione sociale e logo.

A m’arcord

Della fabbrica del concentrato di pomodoro in piazza a Felino ho un ricordo molto vivo, sia perché da bambino giocavo nel cortile confinante a nord della stessa, sia perché successivamente (ed in particolare dal 1950 fino alla sua demolizione) ne ho vissuto, indirettamente, splendore e decadenza.
Le lunghe file di carri agricoli trainati dai buoi e pieni di cassette di pomodori; l’odore acre dei mucchi di semi lasciati al sole nel cortile ad essiccare; il fumo che usciva dalla ciminiera, emblematico della lavorazione in corso; le donne con i grembiuli e le cuffie di stoffa a quadrettini bianchi e rossi che, come tante api operaie, entravano a turni in quello che a me sembrava, appunto, un enorme alveare, costituivano quella che successivamente avrei conosciuto meglio sui banchi di scuola: l’impresa, ovvero l’azienda industriale.
Il punto d’incontro di noi “ragazzi del Borgo” era il muro perimetrale ad est della fabbrica, lungo quella via che oggi si chiama Bottego: quel muro che rappresentava la nostra bacheca e che oggi forse potremmo chiamare “moderni graffiti”. Ci si leggevano in particolare gli evviva e gli abbasso Bartali e Coppi, Juve e Toro, Nuvolari e Biondetti, ed i nostrani “stupido chi legge” o “Emma ama Tinzen”, quest’ultimo quale segreto svelato di un platonico amore tra ragazzini della borgata.
Del salumificio, invece, sempre da allora come oggi ubicato vicino al mulino di Macedonio Boschi (detto Macéto) e per questo chiamato “al Molén”, conservo un ricordo ancor più vivo grazie all’amicizia con il mio coetaneo Luigi Boschi (1938-1984), figlio di Dante e futuro componente della “Fratelli Boschi”.
Correva l’anno 1950, ed assieme a Ginnio Delsoldato, Pier Luigi Balderi (Lilli), Augusto Mussi (Cicci) ed Achille Branchi (1939-1986), amici inseparabili, seguivo Luigi all’interno dello stabilimento nel suo quotidiano impegno di apprendimento della difficile arte della fabbricazione del salame. Erano i tempi del mitico “Gélo” (all’anagrafe Aristodemo Pelosi) e successivamente di “Argint” (Delio Argenti), i quali ci intimorivano con la nomea (giustamente acquisita, comprendemmo molto tempo dopo) di possessori dei segreti del salame di Felino.
Vedevamo la cernita delle carni, la macinazione o tritatura delle stesse, l’insaccatura dei budelli e la successiva legatura; ma in particolare il controllo dei salami nelle varie stanze di stagionatura: come venivano “tastati”, annusati, spaccati in due con le mani per constatarne il processo evolutivo.
Erano i tempi in cui i “saperi” venivano tramandati oralmente; le tradizioni non avevano ancora lasciato il posto alle scienze codificate; la tecnologia era notevolmente superata dalla manualità.
Ecco la chiave di lettura delle foto che compaiono in queste pagine[5]: meritano di essere guardate attentamente, soffermandosi in particolare sui visi, e così le si gusterà fino in fondo. Sono testimonianze storiche che difficilmente si possono rintracciare altrove. Sono una pagina della nostra storia che caratterizza il passaggio dall’era contadina a quella industriale (che tale sarà fino alla fine del secolo ventesimo e che lascerà il posto a quella culturale).

Tratto da: “Per la Val Baganza” 2001, pp. 71-75. Ripubblicato per gentile concessione dell’Editore. Si ringraziano Pietro Bonardi e Vittor Ugo Canetti per la preziosa collaborazione

NOTE:

  1. Ubaldo Delsante, La zappa e la caldaia – I pionieri della coltivazione del pomodoro e dell’industria conserviera nel Parmense (1860-1910), in “Parma Economica”, Numero speciale: Rosso Parma – Il pomodoro dalle origini ai nostri giorni, anno 132, n. 3, settembre 2000, pp. 15-26; Id., Carlo Rognoni e Antonio Bizzozero: Due modi di vedere lo sviluppo Agro-Alimentare del Parmense, ibid., pp. 27-32.
  2. L’elenco di 49 imprese sorte nell’ambito del Comune di Felino in: Pier Luigi Longarini, Il passato del… pomodoro – La storia delle fabbriche di salsa del pomodoro attraverso le cartoline, le scatole, i manifesti, le fotografie, i documenti. Parma, Silva Editore, 1998, pp. 54-67, 195-196, 199-201; sulla Boschi Luigi e Figli, pp. 59-62; panoramica dell’attività conserviera a Felino: Gino Canetti, Metropoli del pomodoro, in: Felino – Capitoli dal passato, a cura di Vittor Ugo Canetti, Centro Studi della Val Baganza, Sala Baganza, Tipolitotecnica, 1990, pp. 156-165.
  3. “Gazzetta di Parma”, 9 luglio 2001, p. 21: È morto Renzo Boschi; ibid., 10 luglio 2001, p. 19: Luca Sommi, L’ultimo addio a Boschi.
  4. Una magnifica locandina pubblicitaria a colori, del settembre 1926 (litografia Zanlari – Parma, Edizioni “Carboni” – Parma, cm. 23 x 33), opera di Erberto Carboni (1899-1984), architetto e cartellonista, è già comparsa a tutta pagina in “Per la Val Baganza” n. 10 (1992), p. 396, e più in piccolo in P. L. Longarini, Il passato del… pomodoro, cit., p. 60.
  5. E per esse il ringraziamento più vivo va al dott. Paolo Boschi che le ha messe a disposizione e ne ha autorizzato la pubblicazione. Un grazie anche al privato collezionista sig. Carlo Avanzini.