“La felicità non costa niente”: un cinema da pane e salame

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Il salame, pur essendo un prodotto diffuso in tutta Italia e nel mondo in molteplici forme e “versioni”, è anche e soprattutto un simbolo di semplicità, un alimento adatto a qualsiasi momento e amato in tutto lo Stivale. Proprio questa versatilità è una delle caratteristiche che rendono il salame uno di quei prodotti in grado di entrare nelle case di molti italiani e di trovare posto perfino nelle espressioni gergali e, in generale, nel linguaggio di tutti i giorni. “Pane e salame” è un abbinamento che, aldilà degli ovvi significati gastronomici, è sinonimo di buon umore e di una convivialità che viene sempre associata al prodotto e al suo consumo. In “La felicità non costa niente” (2003) Mimmo Calopresti, attore e regista calabrese allievo di Nanni Moretti, si serve proprio di questo particolare alimento per descrivere, con una metafora diretta e comprensibile, la semplicità intrinseca della quotidianità e la tendenza di molti a “complicarsi la vita”, quando in fondo le risposte che cerchiamo sono più immediate di quanto si pensi.

La trama

Sergio, interpretato dallo stesso Calopresti, è un architetto di successo, il cui ruolo di rilievo nel suo ambiente è arricchito da un lauto stipendio e una vita sentimentale divisa tra una moglie devota e le passioni di una giovane amante. Questi sembrano essere gli ingredienti di una ineluttabile ed eterna felicità, della quale Sergio è fermamente convinto. L’uomo non sembra conoscere dubbio o esitazione di alcun genere, apparendo in totale controllo della propria esistenza. Sarà un incidente in macchina, in una notte come tante, a mettere in dubbio questo sistema in apparenza inscalfibile, facendo precipitare il protagonista in un vortice di difficoltà inaspettate, una sorta di incubo ad occhi aperti che spinge Sergio stesso ad abbandonare tutto ciò che ha costruito, alla ricerca di risposte e senza la sicurezza di trovarne alcuna. La critica alla presunta “invincibilità” degli uomini è il perno attorno al quale si sviluppa tutta la narrazione, che si sostanzia in un intreccio tanto avvincente quanto, a tratti, caotico e multiforme. Un dipendente di Sergio, Gianni (Peppe Servillo) è il personaggio più suggestivo e misterioso della storia, decisivo nel percorso del tormentato architetto verso la tanto agognata serenità. Gianni si presenta ogni notte a colloquio con il protagonista, tentando di insegnargli il valore delle “cose piccole, ma buone”. Le insignificanti vittorie quotidiane e il valore degli affetti sono gli unici antidoti all’inquietudine con cui tutti, ognuno a suo modo, siamo costretti a confrontarci. Sergio, tuttavia, fatica a cogliere la vera essenza di ciò che lo circonda, vagando senza meta per una Roma sempre distante e confusa, un paesaggio lunare che rappresenta lo smarrimento interiore dei personaggi.

Pane e salame: una gioia “non così piccola”

Ed ecco che, durante l’ennesimo dialogo tra Sergio e Gianni, quest’ultimo decide di svelare la vera veste del “Paradiso”, raccontando la sua idea di un luogo perfetto. Gianni, infatti, è in realtà un operaio che ha perso la vita in uno dei cantieri di Sergio, il cui spirito compare al protagonista per aiutarlo a riflettere sui propri errori. Ci si aspetterebbe un arpeggio di qualche tipo, la descrizione di un luogo glorioso e costellato di bellezze impensabili. In realtà il paradiso di Gianni è un luogo sereno e spoglio, un “paradiso operaio” in cui semplicemente si gode del trascorrere del giorno, mangiando pane e salame e bevendo del buon vino, liberi da quei pensieri che ci attanagliano in vita. Il fatto che Calopresti scelga proprio questi alimenti rivela in un certo senso il ruolo del salame nell’immaginario collettivo, una celebrazione della sua essenzialità e del suo sapore diretto, privo di sofismi e ghirigori, ma semplicemente “buono”. Certe emozioni, ed è forse questo il messaggio centrale del film di Calopresti, vanno vissute con leggerezza, soprattutto in un mondo che esalta tutto ciò che è complesso e sofisticato, per riscoprire quelle gioie che “non costano niente” e che sono, proprio per questo, così preziose.