Quando ci apprestiamo a gustare una fetta di salame, difficilmente pensiamo a tutto il lavoro che sta dietro a quella che è stata definita “una fetta di vita” (Tacca, 1999). Invece, alle spalle del gustoso alimento c’è una lunga e affascinante storia. Il poeta parmigiano Renzo Pezzani (1898-1951), per celebrare il successo del salame parmigiano nel 1950 gli dedicò perfino una poesia: “Al Salam Pramzàn”.
Il prodotto
Il salame è un prodotto di carne suina tritata, condita con sale e aromi, insaccata in un budello e sottoposto a una stagionatura di almeno 40 giorni. Il nome Felino deriva dal paese parmense nel quale, nell’Ottocento erano presenti in gran numero i produttori che lavoravano la carne utilizzando una tecnica e una scelta delle parti che si tramanda da generazioni. Si utilizzano infatti solo carni fresche di suino nazionale pesante, allevato nelle regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto e Toscana e macellato non prima che abbia raggiunto il peso di almeno 130 Kg. Un bel salame Felino ha forma cilindrica con un’estremità più voluminosa dell’altra, diametro di circa 5 cm, lunghezza di circa 40 cm e peso medio intorno a 1Kg. In una particolare tipologia di prodotto, il “gentile”, la lunghezza può arrivare a oltre 1 m. La superficie esterna è asciutta e rivestita di una leggera muffa. Il salame è legato in modo caratteristico con uno spago. La carne proviene dai muscoli della spalla, dalle rifilature dei prosciutti, del lombo e della pancetta. Il grasso presente in queste parti muscolari è sufficiente per la preparazione di un impasto ben equilibrato, nella quantità circa il 30%. Il sale, indispensabile per la conservazione, viene aggiunto per circa il 2,5% del peso. Si utilizzano anche, con funzione aromatizzante e antimicrobica, spezie ed erbe aromatiche come il pepe nero intero, dalla blanda azione conservativa, e l’aglio pestato. Nell’impasto si possono aggiungere anche vino bianco e spezie, secondo ricette e dosaggi tenuti segreti dai vari produttori. La carne del salame è contenuta in un budello, anch’esso suino, che ha la funzione di proteggere l’impasto ed evitare il contatto con l’ambiente esterno.
La lavorazione della carne
Nel processo produttivo del salame Felino le carni vengono selezionate e private delle parti tendinee, tagliate in pezzi di circa 6-8 cm. e tritate. In origine per sminuzzare la carne si usava la mannaia tritacarne (manära da masén), una lama trapezoidale infissa nella zona centrale di un manico di legno, in modo da poter impugnare l’arnese con entrambe le mani, come un manubrio.
In seguito si diffusero le macchine tritacarne usate ancora oggi e largamente impiegate nella produzione domestica del salame: inserendo in esse i pezzi di carne si produce un macinato. Il funzionamento è garantito da una coclea che comprime la carne contro un disco d’acciaio forato e fisso, davanti al quale ruota un coltello a più lame. Utilizzando successivamente dischi con fori di dimensioni decrescenti si macina la carne alla giusta ‘grana’ per essere insaccata tramite l’apposito imbuto. L’impasto viene poi messo in una vasca e mescolato con gli altri ingredienti; quando è pronto, viene messo nell’insaccatrice che lo spinge, tramite un pistone, verso un becco nel quale viene infilato il budello. I salami ottenuti vengono legati manualmente con una corda a passi trasversali radi e con un occhiello finale per poterli appendere a stagionare.
Il salame ai Musei
Nel Museo del Salame Felino si conserva una macchina tritacarne-insaccatrice da salami a manovella che ha la particolarità, per poterla trasportare agevolmente, di essere montata su un’asse di supporto da appoggiare sulla spalla, con un foro in cui s’infila una “ferla”, un bastone biforcato a un’estremità (in modo che non possa uscire) e da tenere fermo con una mano all’estremità libera. Era usata dal norcino ambulante, che si recava nelle case coloniche per l’uccisione del maiale e la lavorazione domestica delle carni suine.