Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Niccolò Piccinino e le sallamine

Home/Assaggi/Le interviste impossibili/Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Niccolò Piccinino e le sallamine

Nel XV secolo la scoperta delle Americhe dà slancio ai commerci europei verso il nuovo continente, un periodo di grande cambiamento che gli storici individueranno come il passaggio dal Medioevo al Rinascimento. È questo anche un periodo di guerre che in Italia sono combattute da compagnie mercenarie organizzate e guidate da capitani di ventura il cui principale scopo è quello di arricchirsi schierandosi a favore di un signore o di un altro sulla base dell’ingaggio più vantaggioso e che con i loro e successi diventano loro stessi signori.

Questo è il caso di Niccolò Piccinino (1386-1444) che diviene Signore di molti castelli, rocche e territori parmigiani e tra i quali Albareto, Borgo Val di Taro, Calestano, Compiano, Costamezzana, Marzolara, Pellegrino Parmense, Solignano, Tabiano, Varano de’ Melegari dove stabilisce la sua base operativa, raccogliendo e addestrando le sue truppe. È da qui che nel 1436 Niccolò Piccinino, al soldo del duca di Milano, gli richiede “…porchos viginti a carnibus pro sallamine…”, ovvero venti maiali per far salami.

Una richiesta per lo meno curiosa che mi induce a recarmi a Pellegrino Parmense il cui castello perde la fama di inespugnabilità nel 1428, quando è assaltato dalle truppe del duca di Milano Filippo Maria Visconti guidate da Niccolò Piccinino, e che è assegnato al Piccinino che fortifica la rocca estendendo la cinta muraria per comprendervi anche le case e la chiesa del borgo. Siamo nel 1440 e in questo maniero medievale che sorge sulla vetta di un colle in prossimità del borgo il Piccinino accoglie la mia richiesta di un’intervista.

Signore e valoroso capitano, alla corte milanese del Duca Filippo Maria Visconti (1392-1447) diversi commenti ha suscitato la sua ultima richiesta di venti maiali per fare salami iniziando dal fatto che pare una richiesta non degna di un valoroso guerriero quale lei è.

Lei dimentica o forse non sa che mio padre Francesco era un macellaio e nei primi dieci anni della mia vita, prima che mio padre fosse ucciso, ho conosciuto anche l’arte della norcineria. Iniziando la mia carriera militare con Bartolomeo da Sesto ho poi appreso l’importanza dell’alimentazione dei miei soldati e soprattutto le loro preferenze per le carni e tra queste alcuni tipi di carni di maiale conservate di facile e soprattutto gustosa preparazione. In una serata nella quale in un castello dove festeggiavamo una delle mie tante vittorie, celebrate con fiumi di vino e salamelle arrostite, un retore ricordò che già gli antichi greci, mi pare in un poema chiamato Odissea, mangiavano salsicce arrostite.

In queste terre ricche di boschi pascolano sterminate mandrie di maiali. Perché mai per fare sallamine per i suoi soldati ha chiesto maiali a Milano?

Queste terre sono note per molte specialità di salumeria come i prosciutti, le spalle e i grossi salumi che Benedetto Antelami ha raffigurato in una scultura del Battistero della città di Parma, ma i maiali di queste terre hanno carni magre che non si prestano a divenire un cibo per gli eserciti in guerra. D’altra parte anche gli antichi romani per le loro legioni – almeno così mi è stato riferito – preferivano le salsicce (ciccia conservata in budella con il sale) all’uso dei popoli lucani: le lucaniche o luganiche, cioè le mie sallamine. Per fare buone sallamine ci vogliono maiali grassi, come quelli allevati al chiuso nella pianura e soprattutto dai mugnai e dai caseifici, usando crusca e siero di latte.

A proposito di sallamine mi pare che lei usi una parola nuova. Da dove deriva?

Sono un uomo d’armi e non di lettere, so come vivere in questo mondo moderno e soprattutto mi vanto di essere un buon organizzatore capace di usare ogni collaborazione. La mia mano è per impugnare la spada da usare sul campo di battaglia e non per usare la penna d’oca per scrivere sulla pergamena o sulla carta. La lettera alla quale lei allude è stata scritta su mio ordine dallo scrivano che ha usato un termine – sallamine – in uso tra i miei soldati, in buona parte originari da queste terre parmensi. Quando il mio scrivano, prima di spedire la lettera, me l’ha letta mi ha anche detto che non ha usato l’antica denominazione latina di botulus o insicia oggi incomprensibile e neppure quella di salumen o salamen che indica il pesce conservato con il sale, mentre il termine salsiccia (da sale e ciccia) è oggi noto a pochi e scarsamente usato.

Valoroso capitano, oltre quanto mi ha detto, perché è così interessato alle sallamine tanto da fare la richiesta di ben venti maiali?

La mia richiesta partì quando stavamo preparando una intensa stagione di dure battaglie agli ordini del Duca Filippo Maria Visconti e le sallamine erano destinate a essere distribuite ai soldati dopo le battaglie e per celebrare le mie immancabili vittorie, unitamente a fiumi di vino. Non bisogna inoltre dimenticare che le sallamine per i miei soldati sono preparate secondo una ricetta che ho imparato da mio padre e che prevede l’uso dei migliori tagli di carne di maiali grassi e soprattutto di una miscela di spezie e aromi che fa parte di un segreto che non posso svelare, come quello delle strategie e trucchi di guerra che mi hanno assicurato tanti successi. Sallamine come quelle che stiamo per gustare ora.

Ottime sallamine! Grazie per le sue preziose informazioni e che siano un augurio di prossime vittorie!